Premessa
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea è tornata a pronunciarsi in tema di licenziamenti collettivi, dopo l’intervento che, nel 2014 (1), condusse ad una sostanziale modifica della normativa italiana in materia di licenziamenti collettivi che portò all’inclusione dei dirigenti nella procedura di licenziamento collettivo.
La sentenza, pur non determinando mutamenti di rilievo all’interno dell’ordinamento italiano, è interessante sotto tre profili.
Computabilità dei lavoratori a termine
La Corte pone il principio della computabilità dei lavoratori assunti a termine ai fini della determinazione del numero dei lavoratori “abitualmente” impiegati nello stabilimento soggetto a licenziamento collettivo.
Il principio dettato dalla Corte è in linea con quanto disposto dalla normativa italiana (2): la norma, infatti, prevede “salvo che sia diversamente disposto” – la computabilità dei lavoratori a termine “ai fini dell’applicazione di qualsiasi disciplina di fonte legale o contrattuale per la quale sia rilevante il computo dei dipendenti”.
Natura del licenziamento
Un ulteriore profilo affrontato dalla Corte di Giustizia conferma quanto già stabilito dai nostri giudici di legittimità con riferimento alla natura “tecnica” che devono rivestire i cinque licenziamenti (3) affinché sia configurabile un licenziamento collettivo: il termine licenziamento va inteso nel senso tecnico che gli attribuisce il vigente assetto ordina mentale: specifico evento che si concreta in un atto unilaterale di espulsione del lavoratore intimato dal datore di lavoro.
Il licenziamento non può essere parificato a qualunque altro tipo di cessazione del rapporto determinata (anche o soltanto) da una scelta del lavoratore, come nelle ipotesi di dimissioni, risoluzione concordata, o prepensionamenti, anche ove tali forme di cessazione del rapporto siano riconducibili alla medesima operazione di riduzione delle eccedenze della forza lavoro che giustifica il ricorso ai licenziamenti.
Assimilabilità della risoluzione consensuale al licenziamento
La terza questione pregiudiziale sulla quale la Corte si pronuncia è particolarmente interessante.
La Corte statuisce che il fatto che un datore di lavoro proceda, unilateralmente e a svantaggio del lavoratore, ad una modifica sostanziale degli elementi essenziali del contratto di lavoro per ragioni non inerenti alla persona del lavoratore stesso rientra nella nozione di licenziamento.
Pertanto una risoluzione consensuale, determinata dalla modifica unilaterale, da parte del datore di lavoro, degli elementi essenziali del contratto, rientrerà nella fattispecie del licenziamento.
a cura di Francesca Nocentini
Note
(1) C-596/12
(2) art. 27 D.Lgs. 81/2015
(3) richiesti dall’art. 24 della legge 223/91
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