Sentenza Corte UE: licenziamenti collettivi e Jobs Act

Mar 22, 2021

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Premessa

La Corte di Giustizia Europea si è pronunciata – con sentenza del 17 marzo 2021 – in merito al licenziamento – considerato illegittimo – di un lavoratore il cui rapporto a termine è stato convertito in contratto a tempo indeterminato dopo il 7 marzo 2015.

In sintesi

La causa nasce poiché un’azienda aveva proceduto al licenziamento collettivo avviato nel 2017 interessando 350 lavoratori. I dipendenti avevano presentato ricorso al Tribunale di Milano che, riscontrando l’illegittimità del licenziamento collettivo, aveva disposto la reintegra di tutti i dipendenti ad eccezione del ricorrente. Tale lavoratore, infatti, non poteva beneficiare della stessa tutela perché la data di conversione del suo contratto di lavoro a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato era successiva al 7 marzo 2015, data di entrata in vigore del Jobs Act.

Il Tribunale di Milano aveva quindi rinviato alla Corte di giustizia dell’Unione Europea la parte del Jobs Act che disciplina i licenziamenti collettivi, chiedendo di valutare se l’esclusione della reintegra nel posto di lavoro fosse compatibile con i principi di parità di trattamento e di non discriminazione e con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione.

Con la sentenza di cui sopra, la Corte risponde negativamente a tale questione: non è contraria al diritto Ue la mancata reintegra nel posto di un lavoratore assunto con il Jobs Act che sia stato vittima di licenziamento illegittimo. 

Per effetto del Jobs Act, infatti, in Italia vigono due regimi successivi di tutela dei lavoratori in caso di licenziamento collettivo illegittimo. Da un lato, un lavoratore a tempo indeterminato, il cui contratto è stato stipulato fino al 7 marzo 2015, può rivendicare la sua reintegrazione nell’impresa. D’altro lato, un lavoratore a tempo indeterminato, il cui contratto è stato stipulato a partire da tale data, ha diritto soltanto a un’indennità, con una soglia massima.

Dunque, non c’è stata discriminazione, ritengono i giudici europei, ma solo l’applicazione della differente normativa applicabile al caso del lavoratore in questione.

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